Storia

Etimologia

Le origini del nome Guatemala non sono chiarissime. Potrebbe essere stato coniato dai soldati aztechi scesi dal Messico al seguito dei conquistatori spagnoli, e in lingua nahuatl significherebbe "paese dei tanti santi" (cuauhtemalan), un riferimento ai “tanti alberi” delle foreste tropicali della penisola dello Yucatán.

Epoca pre-colombiana (18/12.000 a.C. - 1521 d.C.)

I primi insediamenti umani in Guatemala vengono fatti risalire ad un periodo compreso tra il 18.000 e il 12.000 a.C., in seguito alla migrazione umana dall'Asia nord-orientale. I primi abitanti erano cacciatori e raccoglitori. Intorno al 3500 a.C. l'area entra nella fase neolitica, con la nascita e la diffusione dell'agricoltura del mais (circa seimila anni dopo la rivoluzione neolitica in Medio Oriente). Ai tempi in cui Roma si espandeva nel Mediterraneo (VI-I secolo a.C.), la città Maya di El Mirador, oggi sepolta nella foresta tropicale del Guatemala settentrionale, era la più popolosa dell'America pre-colombiana, con una popolazione di circa 100.000 abitanti e piramidi di 250.000 metri cubici (come El Tigre e Monos). Quello del Mirador fu il primo Stato politicamente organizzato dell'America, comprendente un complesso di 26 città e conosciuto nei testi antichi come Regno di Kan. Mentre in Europa il mondo antico entrava in crisi e si viveva l'Alto Medioevo in Guatemala la civiltà Maya visse la sua fase classica e raggiunse il suo culmine (250-900 d.C.). All'inizio del X secolo d.C. la civiltà crollò afflitta tra l'altro da siccità e invasioni barbariche, e l'Impero Maya si frazionò in numerose città-stato sparse per gli altopiani centrali.

Epoca coloniale (1521 – 1821 d.C.)

La conquista

Dopo la distruzione della capitale azteca Tenochtitlan (1521), nel 1523 Hernán Cortés diede a due luogotenenti, i fratelli Alvarado, il permesso di conquistare l'attuale Guatemala. Gli Alvarado, famiglia nobile di Badajoz, nell'Estremadura spagnola, guidati dal fratello maggiore Pedro, si allearono inizialmente con il gruppo Maya dei Kaqchikel e con essi sottomisero i rivali del gruppo Quiché. In seguito sottomisero anche i propri alleati. Tra il 1524 e il 1527 i Maya del Guatemala vennero soggiogati e la conquista proseguì più a sud nell'attuale El Salvador. Il carattere violento di Pedro de Alvarado è testimoniato da numerose fonti: “impiccava o bruciava vivo qualunque capo locale che osasse opporsi a lui”. Pare fosse sua abitudine anche quella di dare gli indigeni in pasto ai suoi cani. Dopo il suo passaggio la popolazione indigena chiamò quella terra Xoaticol, la terra “sotto il sangue”, il nome con cui il Guatemala è ancora oggi chiamato dalla popolazione autoctona.

Nel 1524 Alvarado fondò Santiago de los Caballeros de Guatemala ufficializzando così il potere spagnolo nella nuova regione. Venti anni dopo Santiago era il quinto capoluogo del Nuovo Mondo, e la Capitaneria Generale del Guatemala (Capitanía General de Goathemala) la più grande provincia del Vicereame della Nuova Spagna, comprendente gli attuali Guatemala, Chiapas, Nicaragua, Honduras e Costa Rica. Santiago era la città centro-americana più importante dopo Città del Messico, perché era lì che i Maya avevano messo in piedi la loro gloriosa civiltà, e lì avevano lasciato un grande patrimonio e una discreta popolazione, che tradotti in spagnolo diventavano oro e manodopera, gli strumenti necessari per soddisfare l'ambizione degli avventurieri del Cinquecento, ovvero “raggiungere un nobile status acquisendo ricchezza, terra e signoria sugli uomini”. Gli spagnoli restarono comunque molto delusi dal Guatemala: quando partivano per cercare l'Eldorado molti di loro scomparivano, inghiottiti dalla giungla, e di giacimenti aurei non si vide l'ombra. L'impatto tra la civiltà europea e quella autoctona fu drammatico, con un calo della popolazione locale del 70% circa.

La società coloniale

La società del Guatemala coloniale era divisa sostanzialmente in tre gruppi: gli indios, i ladinos e l'élite spagnola.

Gli indios del Guatemala, dopo il massacro e le vittime dei primi decenni, poterono sopravvivere proprio perché quella terra era povera di beni ambìti dagli spagnoli: la regione non offriva né metalli né condizioni climatiche favorevoli alle grandi piantagioni e grazie a questo gli indios del Guatemala non si estinsero, come accadde a tanti altri, per fatica e malattie nelle miniere e nelle grandi piantagioni di canna da zucchero. La mancanza di importanti centri minerari o prodotti da esportazione rafforzò l'esigenza degli spagnoli di trarre le loro risorse direttamente dal lavoro della comunità indigena: “poiché gli spagnoli riuscivano a trovare pochi lucrosi utilizzi della terra e del lavoro indigeno, sfruttarono la popolazione rurale attraverso tasse, rendite e servizi”. Nel XX secolo la comunità maya del Guatemala era una delle comunità indigene più consistenti dell'intera America latina.

Nel corso dei secoli lo status indigeno di “subordinazione e soggiogamento fu costantemente rinforzato”. Questo a sua volta rafforzò la tendenza delle comunità locali a chiudersi 'a riccio', nel tentativo di difendere la propria identità. La sussistenza di questa identità fu in effetti accettata dall'élite spagnola che non aveva alcun interesse a distruggere le comunità Maya visto che da essa e dal lavoro di quest'ultima traeva le sue risorse.

La Chiesa da una parte tendeva ad annullare la cultura indigena per convertire i Maya al cristianesimo, dall'altra la proteggeva dagli attacchi delle élite spagnole, quanto bastava per tenerla in vita, nel tentativo di "applicare" la nuova cultura cristiana su quella tradizionale. Ciò permise al clero di mantenere con le comunità indigene un rapporto migliore rispetto a quello esistente con le élite spagnole.

Il termine ladinos si riferiva in origine agli indigeni che avevano perso i legami con la comunità ed erano andati a vivere presso i conquistatori, ovvero indios parlanti lingua spagnola. Successivamente incluse anche alcuni bianchi economicamente decaduti e soprattutto i meticci, spesso prodotti di una coercizione fisica piuttosto che di un volontario accoppiamento, dato che gli spagnoli erano “più riluttanti a sposare le donne indigene che a violentarle”.

I ladini andavano a coltivare terre non reclamate (numerose soprattutto nel Guatemala orientale), facevano i piccoli artigiani, vendevano cianfrusaglie nelle città, oppure diventavano gli 'scagnozzi' dei signori della terra. Erano legalmente distinti dagli indios ma non avevano uno status sociale né economico-politico superiore rispetto ad essi nel periodo coloniale. Spesso subivano le stesse discriminazioni razziali a cui erano soggetti gli indios.

L'élite spagnola era indebolita dalle lotte per il potere tra i peninsulares e i creoles: i primi erano spagnoli nati in Spagna e avevano dei posti nel sistema governativo imperiale; i secondi erano spagnoli nati in America, non gestivano l'impero ma detenevano un effettivo potere locale, ottenuto in vari modi e basato sulla loro radicazione nel territorio. Il crescente attrito tra i due gruppi fu una delle cause della corrosione del sistema imperiale spagnolo e quindi dell'indipendenza latinoamericana.

L'economia coloniale

L'economia locale precolombiana, con villaggi proprietari di terre coltivate in comune, era inaccettabile sia per gli spagnoli che per la Chiesa. Si deportarono le popolazioni di vari villaggi dentro uno solo, per controllarle meglio, e la terra abbandonata andava alla Corona (in media una ventina di villaggi vennero fusi in uno). A una cinquantina d'anni dalla conquista gli spagnoli avevano già rilevato tutte le migliori terre situate attorno agli insediamenti. Solo una piccola frazione della terra dell'intera regione ebbe tuttavia un proprietario, e lontano dagli insediamenti gran parte del territorio rimase inesplorato, disabitato o ancora popolato da indigeni non-tributari.

Durante Seicento e Settecento vennero avviate modeste produzioni di zucchero e di cacao e il maggior prodotto d'esportazione fu l'indaco, un colorante coltivato nelle pianure del centro e dell'est.

I Quechì soffrivano molto le condizioni climatiche delle pianure: quando l'impero Maya era entrato in decadenza, per sfuggire alle "invasioni barbariche" i Maya si erano rifugiati negli altopiani e nel corso dei secoli si erano disabituati alle condizioni ambientali della giungla tropicale e delle afose e umide pianure. Quelli che scendevano a lavorare nelle pianure per le piantagioni dei conquistadores spesso si ammalavano gravemente e a volte trovavano la morte. La maggior parte tentava sempre di ritornare al proprio villaggio alla fine di una commessa signorile, ma in alcuni casi gl'indios, per volontà o per costrizione, si stabilivano nei pressi del latifondo, perdevano i contatti con la comunità e col tempo si ladinizzavano. Alla fine dell'esperienza coloniale la distribuzione etnica del Guatemala era la seguente: i ladini erano più numerosi nella fascia costiera pacifica, nella capitale e soprattutto nell'est, ovvero nelle zone più pianeggianti del paese; la popolazione indigena risiedeva prevalentemente negli altopiani, in particolare quelli occidentali, che erano più elevati e quindi meno accessibili, e da lì scendeva per rendere i propri servigi ai padroni bianchi.

I primi cinquant'anni di indipendenza (1821-1871)

L'indipendenza del Guatemala dalla Spagna fu il frutto di un movimento anti-colonialista e non nazionalista: i creoli non si facevano portatori di un programma di redistribuzione del potere, ma volevano semplicemente tagliare fuori la Spagna. Anzi è stata più la paura di una sollevazione della popolazione che non un vero e proprio progetto di acquisizione del potere, a muovere gran parte dell'élite creola. Negli anni del crollo del Vicereame della Nuova Spagna (1812-1821), i creoli del Guatemala fecero perlopiù da spettatori, e proclamarono l'indipendenza solo quando ormai era chiaro che la Spagna non c'era più.

Le province guatemalteche formarono, insieme alle zone più meridionali della regione, le Province Unite dell'America Centrale (o Federazione Centro-Americana). La capitale rimase Città del Guatemala, che ancora oggi è la città più grande e moderna dell'America Centrale dopo Città del Messico. Le Province Unite ebbero vita breve, quindici anni. Anni politicamente instabili, aggravati dal crollo del prezzo sui mercati mondiali dell'indaco, un importante prodotto di esportazione verso l'Europa. Crisi economica e particolarismi politici favorirono la separazione di tutte le province, e la nascita di Guatemala, Honduras, El Salvador, Nicaragua e Costa Rica (1838).

I regimi liberal-conservatori e lo sviluppo dell'economia da esportazione (1871-1944)

Intorno al 1850 la storia del Guatemala subisce una profonda svolta: prodotti tipici come indaco e cocciniglia diventano definitivamente obsoleti per il mercato internazionale, ma soprattutto, l'America Centrale scopre di essere il luogo ideale per la produzione di caffè. Il caffè, a differenza delle tradizionali colture di coloranti, richiedeva grandi piantagioni e grandi quantità di manodopera. Dopo la fine del governo di Rafael Carrera (1840-1865), che dopo una rivoluzione era riuscito a stare al potere appoggiandosi in parte su indios e ladini (senza peraltro danneggiare troppo le élite), i latifondisti più conservatori ripresero il potere, sotto la bandiera liberale, sostenuti dal boom della domanda di caffè in Europa. I liberali, che un tempo avevano a modello il sistema statunitense della piccola proprietà e del mercato libero, avevano adesso una mentalità più pratica ed erano disposti a chiudere un occhio su certe questioni “intellettuali”: la piccola conduzione non poteva portare alcun giovamento alle grandi esportazioni di caffè, il mercato mondiale chiedeva grosse quantità ad un costo basso. Per coltivare caffè servivano molta terra e molte braccia. Nel 1871 Justo Rufino Barrios, uno dei maggiori proprietari terrieri dell'epoca e membro dell'èlite creola, inaugura la nuova era liberale, che avrà termine dopo più di settanta anni con la rivoluzione democratico-borghese del 1944.

Il successo di alcune piantagioni centro-americane aveva spinto delle imprese straniere a investire massicciamente in quella regione: francesi e americani fecero costruire una linea ferroviaria, mercanti inglesi e tedeschi aprirono canali commerciali e coltivatori tedeschi misero in piedi con successo efficienti piantagioni di caffè. Il nuovo governo liberale tra il 1871 e il 1883 vendette quasi 100.000 acri di terra. La terra finì velocemente nelle mani dei grandi latifondisti locali e di una manciata di imprese tedesche e nordamericane, dando origine ad un'economia d'esportazione strutturata su grandi tenute agricole e a una delle “più piccole e più potenti oligarchie del caffè del Centroamerica”. Nel 1940 lo storico Chester Lloyd Jones descriveva il Guatemala come una terra caratterizzata da "un'eccezionale concentrazione della proprietà in poche mani".

Nel 1877 una nuova legge agraria aveva abolito ogni forma di proprietà comunale e aperto la strada all'espropriazione della terra delle comunità indigene. Questa mossa da un lato favoriva l'acquisizione di terre per le coltivazioni di caffè e al contempo, togliendo mezzi di produzione e di sostentamento alla popolazione India, favoriva l'afflusso di forza-lavoro verso le piantagioni. I latifondisti erano soliti acquistare, più o meno per vie coatte, terre indigene per poi affittarle ai proprietari originari in piccoli lotti in cambio del lavoro nelle loro piantagioni.

Lo storico Greg Grandin ha mostrato con dei dati questo processo di espropriazione: “Nel 1870 la grande maggioranza di Maya del Verapaz risiedeva in liberi villaggi sparsi. Nel 1921 il 40% della popolazione totale dell'Alta Verapaz viveva nelle piantagioni sotto forma di lavoratori a giornata residenti (mozos colonos), scambiando il loro lavoro per il diritto di vivere e coltivare.[…]. Nel 1888, novantasette Maya dell'Alta Verapaz possedevano tenute agricole abbastanza grandi da essere ritenute fincas (piantagioni). Nel 1930 erano diventati nove. Entro il 1949 non ce n'era più nessuno”.

I regimi liberali si garantirono la manodopera necessaria ricorrendo, oltre che all'espropriazione delle terre, al lavoro salariato forzato. Nel corso dei successivi decenni, l'apparato “coercitivo” sarebbe stato “basilare per il funzionamento del mercato del caffè” fino al 1945.

Gli introiti del lavoro nelle piantagioni non compensavano l'individuo, né la sua comunità per la perdita di forza lavoro. Il bilancio negativo si fece sempre più grave negli effetti a lungo termine sull'economia indigena e su quella del paese in generale..

Le condizioni di lavoro erano dure: molti “davano il fiore della loro giovinezza solo per finire disabili o alcolizzati e ancora in debito”.

I contadini protestavano e si lamentavano con reverenza:

Il "fallimento" della modernizzazione economica

A partire dalla metà del XIX secolo grandi flussi di capitale “straniero” affluirono nella regione e presero a controllare i processi di produzione preparando il paese all'ingresso nell'economia mondiale: nel corso dell'Ottocento la domanda di caffè si fece sempre più insistente e la possibilità di averne in gran quantità a basso costo attirò l'attenzione del capitale estero quanto quella dell'élite locale. I primi avevano i soldi per produrre le necessarie ferrovie e i porti e i secondi avevano il potere radicato sul territorio.

L'avvio di un capitalismo agrario non comportò una transizione verso un sistema capitalistico di stampo europeo: anzitutto il capitale si riversò solo laddove poteva far crescere il caffè e non migliorò le condizioni dell'agricoltura locale; l'economia locale risultò fortemente indebolita dalle esigenze di quella da esportazione, a causa dell'inasprimento della politica di estrazione di surplus dalle comunità indigene. Mandamientos (coscrizioni di lavoro presso le piantagioni) e schiavitù per debiti indebolirono inesorabilmente gli indios: nel 1907 la municipalità di Nentón (Huehuetenango) lamentava che pur essendo rimasti solo 100 uomini abili al lavoro, 75 di essi avevano ricevuto un ordine di mandamiento.

L'economia indigena precapitalistica era essenziale per “mantenere i lavoratori temporaneamente improduttivi del sistema capitalista”. Infatti all'élite locale serviva una gran quantità di forza lavoro solo in alcune stagioni, e nel resto dell'anno l'economia locale avrebbe dovuto mantenersi da sola e mantenere i lavoratori stagionali. Ma l'economia indigena era progressivamente indebolita da quella della grande piantagione, che le toglieva risorse e mezzi. Ne consegue che le comunità agricole locali furono “minacciate e perpetuate allo stesso tempo, sviluppando una prolungata crisi e non una transizione al capitalismo”

Smith, dopo aver descritto le manovre del nuovo governo liberale volte a garantire la forza lavoro per le proprie piantagioni, conclude che “essenzialmente, lo stato capitalista guatemalteco ha creato nel Guatemala occidentale due classi non-capitaliste: quella dei lavoratori coatti (indios) e quella dei coercitori di lavoro (ladini). Queste relazioni di produzione non-capitalistiche erano più forti nel 1944 di quanto non lo fossero state nel 1844 ”. Allo stesso modo McCreery, dopo aver descritto le relazioni di produzione feudali del Guatemala coloniale, scrive che “il movimento dell'economia nord-atlantica da un predominante capitalismo commerciale ad uno industriale, lungi dall'aver indebolito questo sistema produttivo [feudalistico] o dall'aver diffuso in Guatemala moderne relazioni capitalistiche, ha avuto l'effetto di rafforzare le precapitalistiche forme di sfruttamento e di estenderle ad aree del paese precedentemente non intaccate”.

Nei primi venti anni del XX secolo il lungo regno di Manuel Estrada Cabrera (1898-1920) consolidò il sistema dell'economia d'esportazione e lo espanse favorendo lo sviluppo delle grandi piantagioni di banane e l'ingresso del capitale nordamericano. Cabrera (1900-1920) sarebbe stato ricordato dalla storia locale come l'uomo che vendette il Guatemala agli Stati Uniti, avendo concesso vasti tratti di terra, il sistema ferroviario, il sistema telegrafico, la compagnia elettrica, le comunicazioni aeree, i porti e i canali di comunicazione marittimi ad alcune grandi imprese americane, prima fra tutti la United Fruit Company, una società di proprietà statunitense che commerciava banane.

Gli stranieri aumentarono la capacità produttiva del paese ma al prezzo di una progressiva “denazionalizzazione” delle industrie d'esportazione: nel 1935 i coltivatori stranieri erano 804, ovvero un undicesimo del totale (8104), ma ognuno di loro possedeva in media una quantità di terra venticinque volte superiore a quella dei colleghi locali.

Nel frattempo, lo stipendio reale del contadino si era ormai ridotto all'osso: McCreery, Woodward, ed Handy stimano che negli anni venti la paga giornaliera espressa in termini di costo del grano fosse solo tra il 30 e il 50 % di quella che era stata nel periodo 1853-66

Il "decennio democratico" (1944-1954)

L'Operation PB Success, la "restaurazione" oligarchica e la guerra civile (1954-1996)

La storia del Guatemala è stata significativamente marcata dalla Guerra fredda tra gli Stati Uniti e l'URSS. La CIA, con un piccolo gruppo di guatemaltechi formato prevalentemente da delinquenti e ex carcerati, rovesciò il governo democraticamente eletto presieduto da Jacobo Arbenz Guzmán nel 1954, dopo che il governo aveva espropriato della terra (incolta) dai grandi possedimenti fondiari dell'élite economica, per redistribuirla alle masse più povere cui la terra era stata tolta nei secoli precedenti: parte di queste terre erano possedute dalla United Fruit Company, una società statunitense. All'epoca il Segretario di stato degli USA era John Foster Dulles (avvocato e socio della United Fruit Company) e il capo della CIA era suo fratello Allen Dulles. Il nome in codice di questa operazione della CIA fu Operazione PBSUCCESS.

Il conseguente regime militare, iniziato dal dittatore Carlos Castillo Armas, un condannato a morte evaso quattro anni prima, causò 30 anni di guerra civile che, dal 1960, portarono alla morte di 200.000 civili guatemaltechi. Secondo la Commissione per la verità sponsorizzata dall'ONU, le forze del governo e i paramilitari furono responsabili del 90% delle violazioni di diritti umani durante la guerra. Durante i primi 10 anni, le vittime del terrore di stato furono principalmente studenti, lavoratori, professionisti e personalità dell'opposizione di qualsivoglia tendenza politica, ma negli ultimi anni vi furono migliaia di vittime fra i maya contadini e non-combattenti. Più di 450 villaggi maya vennero distrutti e oltre un milione di persone diventarono rifugiati. Questo è considerato uno dei più tremendi casi di pulizia etnica verificatisi nell'America Latina moderna. In certe aree, come Baja Verapaz, la Commissione per la Verità concluse che lo Stato guatemalteco avviò intenzionalmente una politica di genocidio contro determinati gruppi etnici. Nel 1957 la Columbia University di New York conferì al dittatore sanguinario Carlos Castillo Armas la laurea honoris causa.

Dagli anni cinquanta agli anni novanta (con un periodo di pausa tra il 1977 e il 1982), il governo USA supportò direttamente l'esercito del Guatemala con addestramenti, armi e finanziamenti. Le Forze armate speciali degli Stati Uniti ("Berretti verdi") arrivarono nel Guatemala con l'obiettivo di formare l'esercito come "forza moderna anti-insurrezione" e ne fecero il più sofisticato dell'America Centrale. Nel 1999, il presidente statunitense Bill Clinton affermò che gli Stati Uniti ebbero torto a supportare le forze militari guatemalteche che presero parte alle brutali uccisioni di civili. Il coinvolgimento della CIA incluse l'addestramento di 5.000 cubani oppositori di Fidel Castro e la realizzazione di aeroporti per organizzare quella che sarebbe diventata la fallimentare invasione della Baia dei Porci.

Dopo il colpo di Stato appoggiato dagli Stati Uniti nel 1954, in Guatemala si è instaurata una dittatura che ha combattuto con metodi spietati la guerriglia armata, condotta soprattutto dagli indios. Nel 1985 i militari hanno ceduto il potere ai civili ed è stato avviato un processo di democratizzazione.

Nel 1982, quattro gruppi marxisti formarono l'organizzazione di guerriglia (Unidad Revolucionaria Nacional Guatemalteca - URNG). La guerra sanguinosa durata 36 anni terminò nel 1996 con un accordo di pace tra la guerriglia e il governo del presidente Álvaro Arzú, negoziata dalle Nazioni Unite. Entrambe le parti acconsentirono a dei compromessi. L'esercito avrebbe dovuto controllare i centri urbani, mentre URNG avrebbe dovuto mantenere una forte presenza nelle campagne. A causa dell'uso brutale della forza, delle sparizioni e della tecnica militare di fare "terra bruciata", il paese si trasformò intenzionalmente in uno "stato paria". Nel 1992 il premio Nobel per la pace venne assegnato a Rigoberta Menchú, un'attivista indigena per i diritti umani, grazie ai suoi sforzi per portare l'attenzione internazionale sul genocidio perpetrato dal governo nei confronti della popolazione indigena.

Dagli accordi di pace il Guatemala ha potuto beneficiare di elezioni democratiche. Comunque la corruzione è ancora pervasiva a tutti i livelli di governo. A dicembre 2005 è stata scoperta una grande quantità di documenti della Polizia nazionale, rivelando i metodi che gli ufficiali per la sicurezza pubblica utilizzavano durante la guerra civile guatemalteca.

L'economia, anche per i trattati commerciali sottoscritti, resta largamente legata a quella degli USA. Gli USA assorbono, per esempio, dieci volte l'importo delle esportazioni verso il confinante Messico. Un riflesso di questa dipendenza è anche nella grande presenza di imprese nordamericane nel paese.

Il Guatemala è uno dei paesi latinoamericani dove le differenze e sperequazioni sociali e culturali sono più accentuate. Nonostante l'impulso alla partecipazione dei popoli indigeni dato dall'assegnazione del premio Nobel alla Menchú, il ruolo delle donne e il concorso in politica degli indigeni, più del 50% della popolazione, restano largamente emarginati dal controllo sociale ed economico delle élite locali.

Source: https://it.wikipedia.org/wiki/Guatemala