Description
Nella città di Dodona (in greco antico Δωδώνη, moderno Dodoni), situata nell'Epiro, in Grecia nord-occidentale, si trovava un oracolo dedicato a due divinità pelasgiche, Zeus, il dio del fulmine re dell'Olimpo, e la Dea Madre, identificata con Dione (mentre in altri luoghi era associata a Rea o Gaia). Secondo quanto riportato dallo storico del V secolo Erodoto, Dodona fu il più antico oracolo di tutta la Grecia, datandolo in epoca pre-ellenica, forse addirittura risalente al II millennio a.C. I sacerdoti e le sacerdotesse interpretavano il fruscio delle foglie di quercia (o di faggio) per predire il futuro e assicurare la benevolenza delle divinità. I Selli, gli abitanti di Dodona, erano invece incaricati di custodire l'oracolo e i suoi beni.
Culti e storia del santuario
A Dodona Zeus fu associato ad un altro dio pre-ellenico sconosciuto, e veniva adorato col nome di Zeùs Molossòs o di Zeùs Nàios. Originariamente dedicato alla sola Dea Madre, il sito fu poi condiviso sia da Zeus sia da Dione (il nome della quale, così come Zeus, significa semplicemente "divinità"). Molte iscrizioni votive recuperate a Dodona, riportano i nomi di Zeus Naios e Dione, che nella mitologia arcaica erano probabilmente considerati marito e moglie. Tuttavia, durante l'epoca classica, Dione venne destinata a ricoprire un ruolo di minor rilevanza, poiché la vera consorte del re degli dèi fu sempre considerata la gelosissima Era.
All'epoca in cui Omero compose l'Iliade (800-750 a.C. ca.), non era presente nessun edificio nel sito, e i sacerdoti dormivano sul terreno senza alcun riparo, con i piedi ritualmente non lavati. Precedentemente al IV secolo a.C. c'era invece un piccolo tempio in pietra dedicato a Zeus. Da quando Euripide nominò Dodona nella sua opera Melanippo, ed Erodoto scrisse dell'oracolo (Storie, libro II), si installò anche un corpo di sacerdotesse. Nonostante non riuscisse ad eclissare la fama e ricchezza dell'oracolo di Apollo a Delfi, Dodona acquistò allo stesso modo una certa importanza e celebrità fra i Greci. Nelle Argonautiche di Apollonio Rodio, la narrazione dei viaggi di Giasone e degli Argonauti, la nave di questi ultimi, chiamata "Argo", aveva la capacità di profetizzare perché un'asse della sua carena era stata intagliata nel legno di una quercia proveniente da Dodona.
Nel III secolo a.C., Pirro, re dell'Epiro, fece ricostruire il santuario di Zeus in maniera grandiosa, e aggiunse molti altri edifici, con festeggiamenti che prevedevano giochi atletici, agoni musicali e tragedie da rappresentarsi nel teatro. Furono costruite delle mura che circondavano l'oracolo e gli alberi sacri, così come vennero edificati i templi di Eracle e Dione.
Nel 219 a.C., gli Etoli invasero la regione e bruciarono il tempio fino alle fondamenta. Nonostante Filippo V di Macedonia avesse fatto ricostruire tutti gli edifici più grandi e belli di quanto fossero mai stati, e avesse aggiunto al complesso uno stadio per i giochi annuali, l'oracolo di Dodona non si riprese mai completamente. Nel 167 a.C. il centro fu nuovamente distrutto e riedificato, per poi essere saccheggiato dalla tribù Trace dei Maedi. Fu poi ancora riedificato, per l'ultima volta, nel 31 a.C. grazie all'imperatore Augusto. Quando il geografo e viaggiatore Pausania vi sostò nel 167 d.C., Dodona era ridotta ad una singola quercia (Descrizione della Grecia, libro I, cap. XVIII). I pellegrini ad ogni modo continuarono a consultare l'oracolo fino al 391 d.C., quando i cristiani abbatterono l'albero. Anche se ciò che rimaneva della città era un insignificante agglomerato di casupole, il vecchio sito pagano dovette sembrare di una certa importanza alla comunità cristiana, visto che il vescovo di Dodona partecipò al Concilio di Efeso nel 431.
Scavi archeologici durati ben più di un secolo hanno riportato alla luce diversi manufatti, molti dei quali sono ora conservati al Museo Archeologico Nazionale di Atene, altri al museo archeologico sito vicino a Ioannina.
Erodoto e le origini di Dodona
Quando nel V secolo a.C. Erodoto giunse per i suoi studi a Tebe (in Egitto), alcuni sacerdoti della città gli raccontarono che due grandi sacerdotesse erano state rapite dai Fenici molto tempo addietro, e che una fu venduta come schiava in Libia, l'altra in Ellade; costoro furono le fondatrici dei due più importanti santuari dedicati al dio supremo: Dodona (nel quale era adorato Zeus) e Siwa (ove si venerava Amon, divinità egizia che i greci identificarono con il padre degli dei olimpici). L'Egitto, per i Greci e per gli Egiziani stessi, era la culla di ogni cultura e conoscenza umana, ma infinitamente antico. Secondo tradizioni mitologiche, l'oracolo di Amon nell'oasi di Siwa in Libia e quello epirota di Dodona sarebbero stati ugualmente antichi, similmente trasmessi dalla cultura fenicia, e fondati da vatesse (Erodoto non usa mai il termine sibille).
Ecco come Erodoto ci racconta di ciò che gli fu riferito dalle sacerdotesse stesse, chiamate peleiades ("colombe"), a Dodona:
Nell'analisi più semplice, questa era una conferma della tradizione egiziana. L'elemento della colomba potrebbe essere comparato all'etimologia popolare del nome arcaico con cui si indicavano le donne sacre, che non aveva perso di significato. L'elemento pel- di peleiadi potrebbe essere collegato con l'omografa radice (traducibile con "nero", "fangoso") nei nomi "Peleo" o "Pelope"? È per questo motivo che nella tradizione greca le colombe sarebbero state nere? Erodoto aggiunge:
Thesprotia, sulla costa a ovest di Dodona, non sarebbe stata mai accessibile ai navigatori Fenici, che già i lettori di Erodoto ritenevano non essere penetrati così tanto all'interno da raggiungere Dodona.
Molti secoli dopo, comunque, anche i cristiani rimasero affascinati dal mito delle colombe, che interpretarono come un veicolo dello spirito di Dio.
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